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    Generosi con Roma?

    Generosi con Roma?

    Davvero siamo generosi con Roma? Non parlo dalla prospettiva del comune cittadino, che ugualmente a chi ha un potere, avrebbe lo stesso dovere (e fors'anche piacere) a essere generoso con la città dove vive, ma delle persone che ricoprono alti incarichi nazionali, professionali e istituzionali, che pur vivendo a Roma, spesso nati a Roma, non mettono abbastanza attenzione alla città, quasi che della città fossero ospiti, senza chiedersi mai (naturalmente con delle eccezioni, talvolta vistose): ma io per Roma cosa posso fare?

    Facciamo alcuni esempi. Grazie alla presenza di numerose università, Roma dispone di diverse centinaia di persone che hanno grandi competenze. Quanta di questa scienza è generosamente (intendo, senza un incarico formale e retribuito) dedicata a Roma? Ancora più in dettaglio: quanti saranno i docenti di economia? 500 persone? forse di più, non importa il numero esatto. Quanti di questi, generosamente appunto, hanno messo a disposizione una porzione del loro tempo per dedicarsi ai problemi di Roma, o magari per raccogliere gli appelli del Campidoglio allo sforzo per aiutare Roma a sollevarsi e crescere grazie ai progetti del Pnrr e alla sfida dell'Expo? Pochi dobbiamo dire: vistosa eccezione il gruppo di geografi-economisti di Filippo Celata, che sforna con regolarità e alta qualità, analisi dettagliate socio-economiche sulla città. Quante cose si potrebbero fare, quanta cultura economica si potrebbe distribuire, quanto supporto alle istituzioni potrebbero arrivare da 500 economisti che volessero dedicare il 5 o il 10% del loro tempo a Roma?

    Prendiamo le grandi imprese pubbliche, ex pubbliche o comunque di rilievo nazionale, che hanno sede a Roma. Quanta parte del loro sforzo intellettuale e materiale viene dedicata alla città che ne ospita i quartieri generali? Non avrebbero ancora più valore, non dico le imprese stesse, ma almeno le loro sedi, se Roma fosse migliorata? Quante imprese hanno proposto al Comune la "cessione" temporanea di qualcuno dei loro manager per aiutare la città nel PNRR o in altre iniziative? Tra i tanti statuti e carte etiche dell'azienda, non c'è posto per una loro contribuzione in termini di aiuto alla comunità che li ospita? Non sarebbe questo uno spirito etico apprezzabile? Lo stesso vale, in misura diversa, per i loro singoli manager: non sentite di dover restituire qualcosa alla città che in un certo senso si occupa di voi? anche se non sempre quest’occuparsi è del tutto soddisfacente?

    Dentro la generosità professionale c'è anche la generosità in senso stretto, quella che per il mondo anglo-sassone è la charity, che non è la "carità", ma risponde al senso di restituzione dei benefici o della fortuna che si ha nella vita. Chi restituisce sa, dentro di sé, che c'è sempre una piccola o grande parte di fortuna nel suo successo, e davvero chi non lo riconosce non sa su cos'è poggiato il suo status. L'azienda che prospera in una città, non sente, ad esempio, di dare contribuzioni finanziarie, alle associazioni di volontariato, o a progetti per alleviare il disagio sociale, o all'arte? Non avverte che, in qualche modo, il suo successo è legato alla città? che dalla città trae benefici e che la sua fortuna, non è solo sua? Raramente. Anche qui una vistosa eccezione: Lavinia Biagiotti, che ha finanziato il restauro della Fontana della Dea al Campidoglio.

    Ci si potrebbe rispondere: perché dobbiamo occuparci dei problemi della città? Abbiamo già i nostri. Per due ragioni: perché è la città dove vivete, e se non ci occupiamo di lei, comunque lei si occupa della nostra vita. La seconda è una sottigliezza, tuttavia fortissima: ci occupiamo dei problemi, perché c’è sempre un amore segreto dietro ogni problema. Se non speriamo in nulla, non ci aspettiamo nulla e non chiediamo nulla, siamo in quella che Hillman definisce in senso analitico la disperazione. Rimuovendo Roma facciamo male anche a noi.

     

    Bio

    Antonio PreitiEconomista. Docente all’Università di Firenze. Master in Economia dello Sviluppo, Laurea in Scienze Economiche e Sociali. E’ cresciuto al Censis, responsabile di Sociometrica, è consulente strategico.

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