Iscriviti alla newsletter

    Joker, o della solitudine

    Joker, o della solitudine

    Joker. Dopo appena la terza o la quarta inquadratura il personaggio ti entra nella pelle. Fatto misterioso. Razionale? Chissà, perché la potenza del film è proprio in questo collegamento emotivo che stabilisce immediatamente tra spettatore e protagonista: immediato, universale e personale insieme.

    Non è facile rispondere, perché proprio la sua capacità di andare oltre il racconto stesso (che non è per niente male, con la sospensione della verità che fino all’ultimo non fa decidere se T.W. sia vittima o carnefice) ripone tutta la vicenda su un piano il cui accesso (da inconscio collettivo) è difficile per definizione.

    Non si discute del piano tecnico, filmico propriamente detto, per cui ci sono interpreti migliori, ma proprio del perché intorno al film c’è in corso una tempesta emotiva così negli Stati Uniti come in Europa. Perché – ecco la domanda – ci ritroviamo tutti in questo film, come singole persone e come collettività?

    La chiave che a me sembra la più formidabile è che non riusciamo più a farci capire; o meglio a farci intendere per quello che davvero siamo; e che il mondo ci appare sempre più lontano, estraneo, se non avverso. Questa sensazione che Joker interpreta al massimo livello (e che è data dalla menthal illness), oggi probabilmente è diffusissima e attraversa, in misura più o meno grande, ognuno.

    Forse la cosa che spiazza del film è la cattiveria non solo dei cattivi, ma anche dei buoni (Joker, nel caso), tanto che avvertiamo un disagio (e insieme una liberazione) dall’uscire dallo schematismo che vuole i buoni sempre e comunque buoni e, ovviamente, i cattivi sempre e comunque cattivi. In questo caso il bene trionfa, ma è un bene che contiene le sue zone d’ombra. Non accade spesso, almeno nei film.

    Il doppio cinismo, dei ricchi che vivono le loro “grandi” vite disprezzando il “popolo” e del “popolo” che sentitamente ringrazia e restituisce l’odio, è forse l’aspetto più sociologico, perciò meno attraente, perché il cuore del film è tutto nell’idea che questo mondo in cui viviamo è costruito come un copione da adempiere, dove la singolarità, l’assoluta singolarità, di ogni essere umano svanisce. Pur essendo, ovviamente, la cosa più importante che ci sia.

    Bio

    Antonio PreitiEconomista. Docente all’Università di Firenze. Master in Economia dello Sviluppo, Laurea in Scienze Economiche e Sociali. E’ cresciuto al Censis, responsabile di Sociometrica, è consulente strategico.

    Leggi tutto

    Salva
    Preferenze dell'utente sui cookie
    Questo sito utilizza i cookies per offrire una esperienza di navigazione migliore. Se non accetti di installarli il sito potrebbe non funzionare come atteso.
    Accetta tutto
    Rifiuta tutto
    Cookie policy
    Analytics
    Strumenti utilizzati per analizzare i dati per misurare l'efficacia di un sito web e per capire come sta funzionando.
    Google Analytics
    Accetto
    Rifiuto
    Functional
    Strumenti utilizzati per darti più funzionalità durante la navigazione sul sito web, inclusa la condivisione sui social.
    AddThis
    Accetto
    Rifiuto