Chi guarda al funzionamento della più piccola come della più grande entità sociale trova una costante: una piramide solida, con un continuo flusso di persone e di idee dall'alto verso il basso e dal basso verso l'alto. Forse la migliore descrizione è nella teoria della circolazione delle élite di Pareto; ma cosa significa?
Significa che tutte le società hanno bisogno di una guida, che elabori e realizzi un pensiero collettivo, una visione che valga (o con l'intenzione che debba valere) per tutti. Con una condizione però: che non si rinchiuda, ma sia aperta al pensiero, magari frammentato e non coerente, emotivo e diretto, che arriva dalla base e permetta che possano emergere, continuamente, nuove élites.
Non è facile, ma è così che sono state fondate e hanno prosperato le città-stato italiane; così si è fatta l'unità italiana (sia pure in competizione interna: Cavour vs. Mazzini); così sono nati e sono guidati gli Stati Uniti. A questa idea paretiana va aggiunta quella gramsciana (un salto ardito, ma coerente) dell'egemonia culturale. Una élite è tale se definisce, segue, anzi è subordinata, a una visione generale che accomuni non solo sé medesima, ma si faccia senso comune dell'intera collettività.
Questi riferimenti servono a un tema attualissimo a Roma: il disegno del suo futuro, anzi del suo presente, perché molte cose sono partite. La città ha una sfida modernizzante e di ripresa del suo ruolo nazionale e globale. Sono inscritti dentro questo disegno il termovalorizzatore come il Tecnopolo; i piani della logistica come la profonda trasformazione digitale; la candidatura della città all'Expo 2030 come gli eventi musicali iconici.
C'è la guida dell'Amministrazione comunale, il sostegno nazionale di Draghi prima e di Meloni dopo, c'è l'impegno di vari soggetti locali impegnati su singole iniziative, insomma c'è un insieme di volontà che ci lavora. Queste volontà hanno adesso bisogno di due fattori strategici: una campagna culturale, nel senso più ampio, più concreto e meno retorico del termine, che coinvolga l'intera città in questa visione, che produca quel senso comune che rende ognuno protagonista, nella sua parte, grande o piccola che sia, di questa sfida della modernizzazione.
Il secondo fattore è creare un luogo stabile, istituzionale, riconosciuto da tutti, in cui l'élite si parli in maniera sistematica e non episodica, non sul singolo punto, ma sulla condivisione generale della sfida e parli soprattutto all'intera collettività, spiegando i vantaggi, spiegando le decisioni, spiegando insomma il fine del fare. Un luogo non chiuso, che sia pronto ad accogliere soggettività che sono élite nei fatti (perché determinano il corso delle cose), ma non riconosciute come tali in senso pieno.
Si tratta di una triangolazione fondamentale: la conquista delle menti e dei cuori di tutti sull’obiettivo della modernizzazione; il consolidamento delle élite intorno all'istituzione pubblica più rappresentativa (il Comune) e la loro stratificazione a più livelli; l'apertura verso una libera circolazione delle élite dal basso verso l'alto (e qualche volta, anche viceversa), perché anche questo è parte del processo di modernizzazione.
Non avremo forse messo assieme Pareto e Gramsci (per altro contro la loro volontà), ma sicuramente avremo reso la città più coesa nel raggiungimento dei suoi obiettivi ambiziosi.