Non sempre scegliamo le sfide che abbiamo davanti. Talvolta possiamo, ma non sempre, almeno non spesso. Anzi – a pensarci bene - raramente possiamo scegliere la battaglia da combattere. Roma ha davanti a sé sfide che sembrano appartenere a due mondi opposti: nell’una si combatte secondo libertà; nell’altra secondo necessità; non sono opposte, ma parallele: una implica l’altra.
Dal lato della libertà deve/vuole affermarsi come città globale, moderna, che si agganci al meglio delle innovazioni. Deve/vuole dimostrare la sua volontà ferrea, diremmo la sua feroce consapevolezza, di dover/voler conquistare un posto nel mondo pari alla sua storia e alla sua ambizione.
Dal lato della necessità, combatte per funzionare decorosamente. Gualtieri ha lanciato la sfida sul termovalorizzatore e sulla pulizia della città e ha cominciato ad affrontare gli altri problemi che, ogni volta, ammorbano i sogni di Roma, e la rimettono, quasi fosse un suo destino ancestrale, nel capitolo delle città ingestibili. Roma deve risolvere tre problemi di base: la pulizia della città, i trasporti e la condizione delle strade.
Ogni volta che si mettono in luce le formidabili prospettive della Roma che potrebbe essere, da fuori si risponde contrapponendo i problemi della Roma che c’è. Allora cominciamo a dare valore proprio alla sfida sui problemi di base.
Diciamolo a chiare lettere: a Roma risolvere il problema della pulizia, dei trasporti e delle strade è una rivoluzione. Non dovrebbe essere così? È così. Prediamone atto e diamo valore a questa sfida. Non c’è qui lo spazio per dire come la soluzione di questi problemi significa scardinare cattive gestioni, cattive abitudini e cattive idee. Di solito le tre cose vanno sempre assieme, e partono sempre dall’ultima. Se non si ha questa consapevolezza, che si tratti di un’impresa, di una battaglia (non metaforica, ma concreta), di grande profondità, perché implica appunto cambiare assetti mal assortiti, pigrizie e indolenze rassodate, non ci saranno le premesse per superare i suoi problemi più macroscopici.
Tutta la città deve sentirsi impegnata in queste battaglie, deve sentirne la crucialità, sentirsi parte attiva, perché sono dirimenti anche gli atteggiamenti individuali. Deve sentire l’assoluto di agire come si agisce quando c’è un’emergenza generale: unità di intenti, impegno di tutti e condivisione degli obiettivi. Deve agire dall’alto come dal basso; dalle istituzioni come dalla popolazione. Deve dimenticare le differenze e agire secondo l’unica differenza che conta: tra chi vuole il rilancio (per cui ci sono condizioni del tutto straordinarie, con il Pnrr e con la sensibilità del governo) e chi mostra solo indifferenza.
Il pensiero di una Roma pulita, bella, efficiente e da mostrare con orgoglio al mondo deve diventare la magnifica ossessione di ciascuno, come un universale kantiano da rispettare: che qualunque cosa facciamo, dalla più piccola alla più grande, siano accettabili solo se rendono Roma migliore. Non c’è da aspettare: siamo noi quelli che stiamo aspettando; nessuno, qualunque sia la sua funzione pubblica o privata, si senta escluso. Roma non è altra cosa da noi. Siamo noi.