Quando ragioniamo sullo sviluppo di Roma, non fermiamoci a Roma. Non sappiamo se sarà una “global city”, o se, a nostra insaputa, lo è già; se vuole esserlo o se teme di diventarlo. Questione che rischia di allertare subito una discussione ideologica che non ci porterà da nessuna parte. Sia che Roma si pensi come “Global city”, sia che si pensi in un altro modo, ha la necessità strategica di essere al centro di un sistema territoriale più grande dei suoi, pur grandi, confini.
Le città di successo di questi ultimi decenni sono città come Amsterdam, come Londra, come Milano, al centro di una rete di città medie, perfettamente collegate con il centro, con cui respirano e trovano il modo di essere complementari. Pensiamo a Milano. Cosa sarebbe Milano se non avesse vicino Bergamo, Brescia, Varese, Pavia, Parma, Modena, Verona, fino a Treviso? Utrecht ha la sua individualità, è una città in sé perfettamente compiuta, non si confonde con Amsterdam, e non fa differenza vivere lì o ad Amsterdam, perché si hanno le medesime possibilità di sviluppo professionale o di qualità della vita, con un interscambio perfetto. Il modello ideale è sempre un centro e una rete di città con cui sia facile connettersi: ciascuna per sé, ma ciascuna materialmente e idealmente collegata alle altre.
L’Italia ha una tradizione di città. La nostra storia è una storia di città, molto prima di essere una storia di nazione, o di regione. Dobbiamo pensare alle città come alla dimensione oggi più creativa e più promettente per lo sviluppo. Se riportiamo a Roma il modello di una grande città al centro, e la rete di città medie nel suo raggio d’influenza, troviamo immediatamente la domanda sul futuro dell’Italia Centrale, di quel che Luca Diotallevi, chiama “il nuovo ponte da ricostruire”, tra nord e sud e tra est e ovest.
Roma, limitata da Firenze e Napoli, ha la sua massima possibilità di crescere proprio connettendosi alle città medie che stanno al suo ovest, sia a Nord che a Sud, insomma all’Italia Centrale, quella che un tempo era definita il cuore dell’Italia, ma che ora è abbastanza periferica, come dimenticata dai processi di sviluppo più importanti. Al di là dei confini amministrativi, a cui, salvo che ai propri, nessuna città annette importanza, la rete potenziale comprende Perugia, L’Aquila, Teramo, Pescara, Viterbo, Ancona. Questo insieme di città, non ancora rete, può guardare a Roma come alla sua “global city” di riferimento, allo stesso modo Roma può guardare a questa rete come al suo respiro più prossimo. È un mondo da inventare, o meglio da ricreare, perché Roma storicamente ha sempre avuto influenza in questa parte dell’Italia.
Come si inventa? Principalmente con la logistica e grazie al nuovo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Ci sono molti assi su cui quel Piano sembra poggiarsi (dal completamento della linea nord/sud nell’alta velocità, alla spinta sul digitale e alla sostenibilità), ma c’è un’asse, anzi un angolo, ancora da considerare, che parte da Roma e comprende la rete di città che porta sull’Adriatico. Oltre alla logistica, ci sono le infrastrutture, l’intermodalità nei trasporti, la rigenerazione urbana, un ridisegno della mobilità che porti insieme più velocità e più lentezza (velocità da città a città, e poi un ultimo miglio da fare in bici o magari a piedi), e poi c’è la tessitura simbolica, fatta di scambi, eventi comuni, dialogo e azione tra i sindaci delle città. L’Italia Centrale è tutta da reinventare e, in questa reinvenzione, Roma sta al centro, e dovrà esercitare il peso di questa ambizione proprio cominciando a riconoscere la realtà della rete di città che la circonda, aiutando a costruirla. “Global city”, o città più Capitolina, non importa, comunque la rete delle città medie è vitale.