C’è un nuovo conflitto sociale che troviamo dovunque, in Europa come negli Stati Uniti, che oppone centro e periferie: Parigi contro il resto della Francia, Londra contro il resto dell’Inghilterra e le grandi città americane della costa (New York, Los Angeles) contro le aree interne. Il conflitto non è di classe (o non solo questo), ma quasi identitario. L’abbiamo visto nella Brexit, dove la faglia tra fautori del distacco e del remain non è tra destra e sinistra, ma piuttosto tra “anywheres” e “somewheres”.
Gli “anywheres” si sentono cittadini del mondo, possono cambiare casa, quartiere e nazione, più o meno quando lo vogliono, mentre i “somewheres” hanno un solo posto dove andare: quello dove vivono. I primi scelgono il territorio, i secondi sono scelti dal territorio. Tra chi può vivere dovunque e chi può vivere in un solo posto, lo scontro è identitario, non semplicemente economico e sociale. Gli “anywheres” sono felici nel mondo multiculturale, mentre i “somewheres” lo vedono come la fine di tutto, a cominciare dall’identità dei loro quartieri e, in sostanza, della vita come finora l’hanno conosciuta e costruita.
E Roma? Non c’è lo stesso fenomeno per molte ragioni: l’Italia non ha un solo “centro” (la sua capitale pesa molto meno che negli altri paesi); la composizione sociale di Roma non è omogena; altre città e regioni vivono anche in condizioni migliori della Capitale, perciò non ci sono le ragioni oggettive per la contrapposizione. Ci sono però tutti i presupposti per vivere all’interno della città lo stesso conflitto che in altri paesi contrappone le capitali al resto del paese.
Guardate ai comportamenti elettorali, sintesi di tutto: da dieci anni a questa parte, sistematicamente, il voto nei primi due municipi si contrappone a quello del resto della città. Le periferie sono viste come lontane e le stesse periferie vedono il centro come distante. Una profonda ricerca sociologica (che non c’è) coglierebbe come anche la struttura valoriale di centro e periferie tenda a divergere: quello che ha valore per l’uno, non è detto che abbia valore per le altre, e viceversa.
Alcune “rivolte” della periferia vengono viste dal “centro” come frutto di visioni del mondo inaccettabili, ma se pensiamo come pensano i “somewheres”, capiremmo il valore del territorio e l’attaccamento viscerale che ne consegue.
La distanza tra centro e periferia a Roma sembra allargarsi per la crisi economica che scava il solco più forte. Bisogna ritrovare una connessione sentimentale (perduta) tra queste due parti della città, comprendendo e riconoscendo, ciascuno, la scala di valori dell’altro. Altrimenti la nostra “exit” non sarà forse giuridica, ma ben più profonda e radicale.