Abbiamo un problema di sovranità turistica. L’affermazione può sembrare apocalittica, esagerata, o solo impropria, ma le cose stanno esattamente così: il nostro paese ha bisogno di riconquistare sovranità nel campo dell’ospitalità. Nel mentre siamo bloccati nei viaggi, alle prese con nuovi problemi (le multe inglesi per chi va all’estero, ecc.), ma anche con nuove speranze della vaccinazione di massa, è fondamentale porsi questo problema, perché saremo sì, di nuovo in pista, ma deboli in termini di potere decisionale.
La ripresa vedrà le destinazioni di tutto il mondo combattere per conquistare i turisti finalmente liberi di viaggiare. Sarà una competizione infernale, perché tutti hanno fame di riempire alberghi e città. Per questo ha molto senso parlare adesso, proprio adesso, di sovranità turistica, sapendo che questa sovranità oggi è fondata sulla tecnologia, il cui dominio, con l’epidemia, è diventato definitivo. Vediamo in quale modo, con quali conseguenze; e con quali strategie rispondere.
Ogni acquisto fatto on line sui grandi player globali dell’ospitalità come Booking, Expedia, e fra poco – o forse già da subito - Google, e prossimamente magari Amazon, porta circa il 20% del fatturato (cioè dei soldi incassati dalla vendita turistica) dal nostro ad altri paesi. Stiamo parlando non del 20% del profitto, ma del fatturato, cioè di tutto l’incasso, iva compresa. Questa è la conseguenza macroeconomica più imponente, ma c’è anche quella microeconomica, perché se un’impresa ha un margine operativo inferiore al 20% (non è per niente facile starci sopra) è condannata a non essere profittevole. Il pericolo è di diventare “la fabbrica del turismo”, ma senza potere, perché il potere sul mercato sta altrove. Il potere sul mercato consiste nel controllare allo stesso tempo l’offerta (decidere quali alberghi e quali servizi sono acquistabili, con quale visibilità e a quale prezzo) e la domanda (fidelizzare i clienti non alla destinazione, ma alla piattaforma).
Questo potere non avviene per caso e nessuno fa rapine. Avviene perché chi ha sviluppato questi sistemi ha capito prima e meglio di altri la distruzione dei vecchi modelli di incontro tra domanda e offerta turistica, e ne ha costruiti di nuovi. Adesso il problema è nostro. Per uscirne fuori, come la storia della tecnologia insegna, non serve a nulla fare la stessa cosa un anno o un giorno dopo gli altri. Serve fare qualcosa di nuovo e serve arrivare prima e meglio degli altri. Nella tecnologia il second best non ha successo: qual è il secondo motore di ricerca? qual è il secondo sito di e-commerce? qual è il secondo programma di scrittura? Non è facile farlo, ma questo è l’orizzonte, non un altro. Le illusioni sono vietate; ma come si riconquista la sovranità turistica?
Allora vediamo perché sono forti i grandi player globali:
1. Perché sono visibili. Tanto per dare l’idea di ciò di cui parliamo: Expedia ha speso in pubblicità, in un anno, complessivamente 1,8 miliardi di dollari e 2,0 miliardi li ha spesi Pfizer, un’azienda oggi notissima; insomma spendono quasi lo stesso. Se, invece, guardiamo solo all’acquisto delle parole-chiave su Google (insomma quel che si paga a Google per far comparire il nostro nome in cima ai risultati della ricerca) vediamo che l’azienda che spende di più in assoluto è Amazon (157 milioni di dollari), ma la seconda appartiene al settore turistico: Priceline, proprietaria di Booking (82 milioni), la terza è AT&T, ma subito dopo c’è Expedia, ancora turismo. In sostanza tra i primi cinque inserzionisti di Google, due sono del turismo. Questa è la visibilità.
2. Perché offrono servizi facili. Non c’è nessun modo più semplice di acquistare una camera alberghiera in nessun angolo del mondo, persino il più remoto, che andare su questi siti e con paio di click prenotare qualunque cosa. Questa semplicità è disarmante. Perché la tecnologia tende a rendere tutto fluido, senza interruzioni, senza vischiosità, senza pensieri e, per di più, senza nessuno sforzo cognitivo: tutto è semplice, ovvio, invisibile. Questo è il mondo naturale di vivere della tecnologia. Con un click in meno si vince e con un click in più si perde.
3. Perché conoscono i clienti. Detto meglio: hanno una business intelligence straordinaria. Quando vado sul sito delle prenotazioni, compaiono i risultati che sono il frutto dello studio automatico dei miei comportamenti di ricerca e d’acquisto, sedimentati in centinaia, se non migliaia, di dati personali raccolti in molti modi. Ci sono decine di alberghi che potrebbero andar bene, però magicamente ci sono proprio quelli che avrei voluto. Hanno scelto per me, e non si sbagliano. Presentare una lista di hotel senza business intelligence è come avere le vecchie guide telefoniche di carta. Conoscere le persone in tempo reale, non la lista delle strutture, è la frontiera del presente e del futuro. Il sapere è potere.
Non bisogna però farsi troppo spaventare dalla mostruosa capacità dei grandi player globali, perché si può rispondere alla tecnologia, essere semplici e metterci anche tanta intelligenza. Prendiamo la tecnologia, che sembra preclusa a chi non ha capitali infiniti. Non è così: la tecnologia per suo corso naturale ha un movimento duplice e opposto: decentra e accentra (e costa sempre meno). Permette a tutti di aprire la propria pagina di facebook, e in questo movimento decentra potere; però poi accentra, perché facebook decide quante persone possono vedere quella pagina. Chiunque può aprire il sito dell’albergo o della destinazione turistica gratis (decentramento), però poi Google decide in quale posizione quel sito sarà collocato nei risultati (se va oltre la prima videata è praticamente invisibile) e perciò abbiamo il movimento opposto dell’accentramento. Sarà probabilmente sempre così: la tecnologia include e poi esclude, include di nuovo e poi ancora esclude. In questo movimento perpetuo però si aprono grandi possibilità anche per chi non ha milioni di euro da spendere. La tecnologia è una barriera, ma anche un’opportunità. I modi ci sono e sono disponibili.
Essere semplici è una filosofia e rispecchia i tempi che viviamo: la società complessa ama le risposte semplici. Viviamo nell’abbondanza della comunicazione e serve a poco produrne altra e altra all’infinito, mentre serve l’informazione utile. Serve fornirla nei momenti-chiave: serve essere presenti, esatti, semplici nel momento in cui quell’informazione per il turista diventa cruciale, decisiva, fondamentale. Se non si trova facilmente e immediatamente, allora si passa a Google, ma Google non è la guida del telefono, perché le informazioni le indicizza in un modo legittimamente profittevole, non segue insomma l’ordine alfabetico. L’esperienza di un ospite è una successione di momenti (quando serve il taxi; quando serve sapere dove trovare il piatto preferito; quando serve sapere dove trovare un artigiano, ecc.). Bisogna capire “il potere dei momenti”.
Veniamo all’intelligenza. La prima forma di intelligenza è fuggire il pensiero omologante. Ogni destinazione turistica è interessante se è rara, se è unica, se non assomiglia a nessun’altra, se punta alla sua identità. Gli algoritmi standardizzano e rendono tutto sostituibile e omologo, e nessuna persona vuole lo standard, l’uguale, il medio. Il movente del viaggio è l’unico, non l’uguale. Per questa ragione le destinazioni devono conquistare un’autonomia nella comunicazione e lo faranno se sono in grado di offrire all’ospite ciò che è unico di quel luogo e lo devono fare non in astratto, con la buona promozione turistica, ma collegandosi direttamente alla persona, proprio a lui, alla sua individualità e alla sua personalità. E devono farlo utilizzando la tecnologia (oltre che con l’empatia, la virtù, in assoluto, più profetica del successo nell’ospitalità) rovesciando i termini della relazione con la stessa tecnologia, riprendendosi il potere di parlare direttamente con le persone, senza l’intermediazione degli algoritmi fondati sul clickbait, che spingono a cliccare ciò che è più famoso, omologo, ovvio. Ci pensate che una parte delle ragioni dell’overtourism del passato era dovuto proprio a questo corto circuito?
Adesso è il momento di creare algoritmi diversi, profilazioni diverse, informazione diversa. La tecnologia ha disintermediato i mercati e intermediato il pensiero. È il momento che la “sovranità territoriale” riprenda la primazia, e con la tecnologia, non senza. Il pendolo deve andare decisamente sul lato del decentramento. Si può fare. Sappiamo come fare.