Le tendenze del turismo del 2019, i nuovi comportamenti sociali, le tribù e i ritorno alla centralità degli alberghi.
Non appena le temperature arrivano a livelli insopportabili, e le vacanze diventano conversazione quotidiana, il turismo varca la soglia dell’indifferenza e diventa argomento dell’economia. È inevitabile: il pensiero sull’industria dell’ospitalità (che è aperta tutto l’anno) diventa il pensiero del turismo e il pensiero del turismo diventa il pensiero sulle vacanze estive. Nonostante il 50 % dei pernottamenti annuali - non si hanno dati al proposito – siano probabilmente dovuti non proprio alle vacanze estive, l’industria dell’ospitalità trova udienza solo nelle settimane estive. Va bene così.
Non mi sottraggo al rito: vediamo come l’universo delle vacanze estive cambia. Il dato economico, innanzitutto. In effetti un dato economico di riferimento non c’è: si usano arrivi e presenze come proxy dei dati economici. Inutile dire che è una proxy non soddisfacente, e tuttavia a parità di proxy, alcune valutazioni si possono fare. Il turismo è in salute, cresce in maniera costante oramai da oltre dieci anni e in totale continuità. La struttura della domanda e la struttura dell’offerta non sono cambiate. È molto cambiato, invece, grazie alla rivoluzione digitale, il mondo in cui domanda e offerta s’incontrano, si perdono e si ritrovano. Ma su questo dovremo tornare.
Su lato dell’offerta la novità più grande è stata airbnb. In brevissimo tempo una immensa quantità di case si è riversata sul mercato. Questo fenomeno ha creato una moltiplicazione dell’offerta di pernottamento nelle grandi città (Roma, Firenze, Milano e Venezia in primis) con appartamenti passati da residenze private a offerte ricettive, ma nelle destinazioni estive airbnb ha inciso sul modo di affittare le case (che adesso sono tutte sulla piattaforma digitale), ma non ha moltiplicato l’offerta (rimasta sostanzialmente immutata).
Passata la fase dell’esplosione, airbnb si trova però in una sorta di “terra di nessuno”. Non ha standard (le recensioni dei clienti non bastano); ha un seguito di failures (cioè di clienti che hanno trovato una situazione diversa da quella che si aspettavano) di cui non è nota la consistenza; non selezionando l’offerta, ha finito con il riversare sul mercato anche abitazioni al di sotto degli standard medi. Questo ha rilanciato gli alberghi che, nonostante la classificazione discordante tra regione e regione, tuttavia hanno standard impressi nella mente in maniera indelebile: tutti sanno cosa significa un albergo a cinque o a due stelle.
Il concetto universale di hotel è superiore. D’altro canto, il modello vincente sul mercato è sempre Rimini (con la Riviera Adriatica), con la grande varietà di alberghi che copre ogni segmento socioeconomico: dal magico lusso felliniano fino alla pensione completa abbordabile teoricamente dall’80 % del mercato. L’importante è che tutto si collochi perfettamente lungo la diagonale del rapporto qualità / prezzo. Detto in altre parole: che ci sia una rigorosa proporzione tra quel che si spende e quel che si ottiene, qualunque sia il prezzo pagato o la qualità scelta. E il segreto sta nel servizio; questo fa la differenza: essere serviti, pur non essendo affluenti, è un must che solo poche destinazioni riescono a offrire. Forse a Rimini serve l’ultimo passo: avere il coraggio di riclassificare l’offerta alberghiera, non concedendo il titolo di hotel alle strutture al di sotto di un certo standard, così sarebbe imbattibile.
I media però non sono dominati dall’idea di albergo, ma sono stregati dai Millennials e dalla loro preferenza per la “fluidità” dell’offerta ricettiva. Un po’ è ovvio, perché la comunicazione si occupa strutturalmente di quel che cambia; ma è una distorsione della realtà. Il mercato delle vacanze estive è ancora, quasi totalmente, dominato dalle generazioni precedenti. La ragione è semplice: i Millennials non hanno abbastanza soldi, perciò le loro scelte sono limitate. Saranno decisivi. Lo saranno, ma in dieci anni tante cose cambieranno, inclusi loro: i Millennials oggi fanno la moda, ma non i fatturati.
Veniamo perciò ai comportamenti della domanda. Qui i cambiamenti sono notevoli, in sintonia con i cambiamenti della società. La struttura dominante del nucleo di vacanza non è più la famiglia tradizionale, adesso si viaggia in varie combinazioni e anche da soli; e la circostanza non è più un problema. Cresce molto l’attenzione alla sostenibilità, che prima era solo degli ambientalisti e adesso si va generalizzando (con speciale attenzione all’organicfood); i viaggi business si sono ibridati con la componente leisure, tanto che è nato un nuovo segmento di domanda: il Bleisure che significa aggiungere un giorno o due (o anche di più) al viaggio di lavoro per trasformarlo in un’occasione di vacanza; le destinazioni sono sempre più segmentate secondo la loro “personalità”, che dipende però dalla tribù che la sceglie. Vediamo meglio questo punto.
Le caratteristiche orografiche (mare, montagna, ecc.) non danno più una connotazione distintiva alle destinazioni (a mettere una bella foto di spiaggia, ad esempio, sono migliaia e migliaia); anche la connotazione dettata dal segmento di domanda a cui riferirsi (turismo d’arte, eno-gastronomico, ecc.) serve a poco (in ognuno di noi oggi convive un mix di segmenti…); quel che diventa importante è la personalità della destinazione, cioè il tipo di persone che riesce ad attrarre. Formentera ha la percezione che ha, non per le sue caratteristiche orografiche, ma per le sue caratteristiche socio-comportamentali (cioè il modo di intendere la vacanza; i tratti della personalità dei turisti che la frequentano; il vissuto della vacanza), cioè per la tribù turistica che la frequenta.
Ad esempio, due città d’arte che sembrano identiche (come tipologia di vacanza) come Firenze e Venezia, si vanno connotando in maniera diversa, non perché ci sia meno o più arte nell’una o nell’altra, ma perché Venezia (per mille ragioni che qui non possiamo affrontare) ha assunto sempre più le caratteristiche della destinazione (sightseeing) che si vede per poche ore e una volta nella vita (anche se tutti al mondo vogliono vederla), mentre Firenze (anche qui per mille ragioni che non possiamo affrontare) è diventata una capitale globale del turismo giovanile, dove l’arte è il contesto ideale per coagulare le élite giovanili del mondo (soprattutto anglo-sassone). Naturalmente parliamo di destinazioni con decine di migliaia di ospiti, che perciò contengono di tutto, ma abbiamo cercato il loro tratto prevalente nella percezione distintiva. Si potrebbe riassumere il tutto con un: “dimmi dove vai e ti dirò chi sei”.
Sarebbe l’ora di cominciare a fare ricerche di marketing fondate sulla psicometria, cioè sui tratti psicologici prevalenti nei turisti. Perché ci saranno (e ci sono) destinazioni “rassicuranti” e destinazioni “eccitanti”; destinazioni “display” (dove ognuno può esibire il suo status economico o di avvenenza) e destinazioni “conservatrici” (dove si possa ritrovare il mondo com’era); destinazioni “snob” (dove ci si riconosca come tribù che predilige un certo stile di relazioni) e destinazioni “easy” (dove non si hanno obblighi sociali e si possano fare le cose come vengono). Siamo sicuri che non siano proprio queste connotazioni a guidare oggi la scelta della destinazione?
In sostanza, quel che conta di più è l’identità della destinazione (in termini di marketing, il suo brand), fatta un po’ dalle sue caratteristiche orografiche o storiche, ma soprattutto dai suoi tratti distintivi, che si ottengono dal confluire (o talvolta confliggere) delle intenzionalità della destinazione (chi voglio ospitare) e quelle dei suoi ospiti (perché ho scelto proprio questa destinazione). C’è tutto un marketing da inventare e una comunicazione da inventare se le destinazioni vogliono aderire a questi cambiamenti e al modo in cui il “consumo” di vacanze entra nella vita della gente.
E cosa fa identità in una destinazione? Molte cose – si è detto – ma fa identità turistica soprattutto l’albergo. Sarebbe possibile Rimini senza il suo Grand Hotel? Fellini avrebbe girato un film su una seconda casa e De André vi avrebbe scritto una canzone? Difficile pensarlo. Cosa sarebbe Cannes senza i suoi alberghi e cosa rende Miami più attraente dell’infinita costa che vi sta al nord o sull’altro lato della Florida? Cosa sarebbe il mito delle Terme europee senza i suoi grandi alberghi? E quale sarebbe l’immagine della Costa Smeralda senza i suoi alberghi più famosi?
Per gli alberghi si apre una nuova era perché hanno una primazia nell’immaginario collettivo e perché i loro standard, nonostante tutto, danno certezze e sicurezza. Si apre anche per loro una nuova stagione, nella quale dovranno aderire ai cambiamenti (a quando l’albergo che “incorpori” Facebook?), innovando proprio nel dare distinzione e personalità alle destinazioni, oltre che a sé stessi. Loro ci possono riuscire più di ogni altro.